sabato 27 marzo 2010

marzo 2010

La quiete dell'anima è sempre oltre. Deve in qualche modo ancora venire, ed i suoi giorni saranno eccitanti, e di brevissima durata. E' in un'attesa di stenti che solitamente si boccheggia contando i rintocchi che separano il frastuono dall'ordine e dal silenzio. Di quell'orgasmo esistenziale ne assaggerò quanto basta per alzare nuovamente lo sguardo e stropicciarmi gli occhi, per poi chinare la testa e ritornare a correre in cerchio, rompendo il fiato attorno al niente.
Ora devo stilare una tesi di laurea concentrandomi su ciò che più mi manca, un'oblio assoggettato ad un'altra mia vita...lo farò velocissimamente, indugiando quanto basta per non disperdermi tra interstizi di enunciati e ombreggiature lessicali troppo labili.
Singhiozzo al pensiero di aver perso la libido epistemologica sbocciata spontaneamente nei giorni armeni, con un disimpegno partecipativo che mi concedeva sguardi curiosi e penetranti. Era un regalo simile a quando riesci a passare qualche ora fra le coperte di qualche sconosciuta, che può solo passarti della sua linfa, senza chiedere nulla in cambio, nemmeno di conoscere il tuo nome.
La sintesi risolutoria dunque deve ineluttabilmente comparire sempre al passo successivo, risplendere un attimo per poi sfuggire nuovamente, dopo che la si è trattenuta appena un attimo fra le dita, una carezza, un bacio e via....
Sentirsi a casa lontano da casa è così commovente. E risplende talvolta su chi mi è più vicino questo pensiero, annerendone le sagome e dando loro una postura informe.
Qua sento tutta l'afa domestica e la pesantezza quadrangolare di una cella all'occidentale: cosmetica delle azioni, senso dell'allineamento e coprifuoco della coscienza.