mercoledì 23 settembre 2009

Karabakh Moments #2 Shushi


Shushi, citta' ribattezzata da una memoria recente che la ricorda roccaforte musulmana, dalla quale l'esercito azero bombardava Stepanakert e i paesi limitrofi, "valorosamente" espugnata dall'esercito karabakhzo la notte tra l'8 e il 9 maggio 1992, sancendo la fine del conflitto nelle regioni centrali del Karabakh.

Teatro di uno scontro sanguinario indimenticato, questa citta' e' innalzata oggi ad archetipo di gloria patriottica: rovine di una storia, una cultura, uno modus vivendi economico e politico scomparsi radicalmente, per mano di una guerra combattuta fra vicini di casa, mossa da un odio che vuole la sua origine nel maggio del 1920, quando un pogrom anti-armeno decimo' la popolazione distruggendo i quartieri armeni e realizzando una maggioranza etnica azera, o forse nella successiva deliberazione del Comitato Sovietico Centrale del Caucaso presieduto da Josef Stalin nel 1921, il quale rese pubblica la decisione di annettere la regione autonoma del Nagorno-Karabakh alla Repubblica Socialista Sovietica dell Azerbaijan.

Un'Altare naturale della Patria nei confronti del quale e' impossibile rimanere inerti anche per chi non ne ha neppure mai sentito parlare prima di farsi esploratore... Il riscontro emotivo e partecipativo dei residenti e' facilmente riscontrabile: non troverete un cittadino di Stepanakert ad esempio, che, riconscendoti come turista, non ti chieda se "sei stato a Shushy?". Successivvamente, 8 volte su 10, con fiero sguardo e busto in fuori, come sapesse gia la risposta, vi chiedera' "che cosa ne pensate?" aspettandosi lacrimevoli cerimoniali sul coraggioso esercito armeno che ha dovuto rispondere con il fuoco alla brutalita azera e turcomanna, oppure, a snocciolarvi lui stesso dettagli, profili e ricordi di quella guerra che oggi si tramandano da padre in figlio, per generazioni. Ognuno nel karabakh possiede un bagaglio di racconti personalee viscerale, tale da farsi di volta in volta cantastorie, o grande oratore...

Difficile rispondergli che la guerra mi fa schifo, anche la sua....

L'ultima volta che mi e' stato chiesto ho tirato su la la manica del maglioncino e ho simulato qualcosa che si avvicinasse alla pelle d'oca...poi abbiamo taciuto entrambi...

Con 3000 anime al suo interno, prodotto di una politica di ripopolazione piuttosto fallimentare, oggi si presenta in alcune sue parti restaurata o in corso di ristruturazione, ma l'alone della guerra permane inesorabilmente a segnarne la storia recente, e a parlarci di quell'attimo infinito che l'ha spenta, forse non per sempre. Gli abitanti di questi luoghi dicono che un giorno questa citta' tornera' ad essere capitale dela Repubblica del Nagorno-Karabakh. Per ora di Lei si puo' parlarne solo al passato, qualora si voglia intuirne la solennita che la fece grande agli occhi di tutti i popoli del caucaso, e oltre caucaso.

Situata ad una altitudine di 1400-1800 metri sopra il livello del mare, fu prima capitale del Khanato del Karabakh, fondata nel 1750-1752 da Panah-Ali khan Javanshir, primo governatore del suddetto khanato autonomo, poi Capoluogo della omonima Regione. In origine popolosissima, fra il XIX ed il XX secolo contava fra i 30 e i 45000 abitanti. Divisa nella sua pianta nei quartieri musulmano-azero ed armeno, ma frequentata anche dalle aristocrazie persianiana e russa, che fra le mura di tale fortezza scelsero di stabili re i loro resort estivi, probabilmente trovavandovi riposo, ed una fonte d'ispirazione sempre viva.

Nel XIX secolo contava 22 fra giornali e riviste, venti delle quali in armeno, e due in russo. Difatti le sue tipografie erano arcinote nella regione, e non a caso il primo libro in armeno moderno trova qui il suo luogo di nascita. Luogo di numerosi spettacoli teatrali e musicali che la rendevano ameno centro ricreativo. Almeno 10 scuole erano presenti all'apice del suo splendore, di correnti discliplinari persiana, turca e armeno-cristiana.

La citta' contava sino al XX secolo numerose chiese armene ed una greco-russa, quest'ultima situata sulla piazza centrale. Di queste una sola, la Cattedrale di Ghazanchetsots, rimase sostanzialmente in piedi dopo la guerra, se pur con gravi danni strutturali. Oggi e' stata ricostrutita cosi com'era ed e' simbolo religioso e luogo di ritrovo cerimoniale di tutti gli armeni della periferia, i quali prediligono celebrare le loro cerimonie, matrimoni cosi' come battesimi, o la semplice eucarestia domenicale qui. Integre, anche se in pessimo stato, sono invece le tre moschee nel quartiere musulmano, una delle quali persiana, le altre turco-azere. Ci hanno detto che un ente per la salvaguardia dei beni culturali iraniano si sta occupando della rivalorizzazione di queste, con il beneplacito del Governo locale.
Dovunque cammini a Shushi puoi vedere, sentire, persino annusare le tracce di una convivenza oramai trascorsa. Ovunque ti muovi viene da chiederti come un tale bacino inter-etnico e culturale, luogo di passaggio di molte genti, di molti occhi, di usi e costumi diversi, possa diventare cosi' spettrale, vuoto specchio dei nazionalismi figli del secolo XIX...




lunedì 21 settembre 2009

Karabakh moments #1 Il canyon di Shushi

Finalmente ho trovato un internet point che mi consente di buttarvi li qualche immagine. Devo recuperare un po' di giornate, circostanze, eventi. Approfittero' delle foto che ho ricevuto da un amico questa mattina, per pescare a random alcune esperienze


Io e alcuni amici, Veronica, Emmanuele e il piccolo Nicolo', tre indomiti ed eroici itaiani conosciuti provvidenzialmente al residence di Yerevan, ci rincontriamo nel Karabakh per saziare la nostra fame d'esplorazione. Come promesso.




Con noi un altro fondamentale elemento:Marut, il ragazzo nella cui casa tuttora permango, e con la cui famiglia coabito. Marut e' nato nella regione di Martakert, a Nord di Stepanakert. Stabilitosi nel centro politico della regione piccolissimo, ha sempre vissuto qui, e conserva infiniti ricordi e memorie di questo posto, di ogni suo angolo, di ogni sua strada...


La giornata in questone, credo di non sbagliare nel dire che era l'8 settembre, l'abbiamo passata a Shushi, tra le disgraziate rovine di questo antico centro politico-culturale, dove Marut ha potuto istruirci sulle particolarita' storiche del complesso disastrato dal conflitto del 1992, e farci da cicerone sin dalle sue pendici, sulla strada da Stepanakert dove abbiamo incontrato uno dei Panzer utilizzato durante la guerra, simbolo militare, memoria vivissima del conflitto - sino alle alture remote e bucoliche, dove abbiamo potuto gustare un birra Gyumry a testa, sedute su qualche macinio, a prodigarci in autoscatti come solo un viaggiatore dei piu' solitari avrebbe potuto, per poi visitare una grotta risalente a non si sa bene quale periodo sull'estrema cuspide della montagna, dopo una scarpinata su e giu per la china spigolosa della montagna...



Poi cala la sera. Tempo per una doccia veloce, e veniamo invitati a cena da Lusine, giornalista in carriera per RFE/RL, amica e collega di Marut nel quotidiano locale, Stepanakert Press, ansiosa di darci la sua ospitalita', presentarci tutta la sua famiglia e passare una serata di amichevole compagnia. La cena tipica karabakhza consistente in pane e formaggio, pasta tipo "stelline" di grano duro in brodo, pannocchie bollite, insalata, dolcetti, te, caffe e vodka, ha pagato bene, e siamo poi finiti a chiacchierare in tutte le lingue utili ad una benefica comunicazione, degli argomenti piu' svariati, in una via di mezzo fra l'ONU e Babele, non potendo far altro che finire con l'intonare qualche canzone italiana. Sull'onda dell'entusiasmo qualcuno s'e' inevitabilmente messo a ballare! Sia chiaro, con notevole apprezzamento degli invitati!
Questo e' il Karabakh....

venerdì 18 settembre 2009

Kabul-Pavia

Mentre cercavo lucidi aggiornamenti de-martirizzati sui nostri connazionali deceduti meno di 24 ore fa in Afghanistan, mi sono imbattutto in un articolo del solito puntualissimo Marco Travaglio
( http://www.voglioscendere.ilcannocchiale.it/ leggere "Storia di un detenuto da nulla")
Al di la dei risvolti politico-etici, tornaconto ideologici e della solita propaganda mediatica all'italiana che seppellisce dei fatti e ne assurge altri a ruolo guida per un educazione bouffet che ci vede oramai indigesti anfitrioni, ho scorto dietro tale articolo un affermazione filosoficamente interessante, anche e soprattutto per la sua modestia:
La morte e' molti volti di un unica espressione.
La morte semplice, la morte di nessuno, la morte per sentito dire, la morte provata, la morte veduta, la morte del forestiero, la morte fuori e dentro casa, la morte pubblicitaria, la morte segreta, la morte escatologica, la morte soteriologica, la morte simbolica, la morte di resurrezione, la morte della morte...
Ovviamente, lungi dal poter attingere ad un modello puro (di qualsivoglia fenomeno, si intende), poiche' il "tutto" di un evento (i suoi elementi significanti) si rimescola nel calderone del nostro giudizio - piu' meno mediato, condizionato, ordinato, e' in questo atto che viene fornito ad esso evento un valore, fase conclusiva del processo critico del giudizio stesso.
Curioso come questo processo, poi, fornisca nuova linfa per i nostri giudizi venturi. In un certo qual modo, funge da precedente, precendente del precedente, e cosi' via....
Una giurisprudenza analogica della valorizzazione.

domenica 13 settembre 2009

13/09/2009

Domenica pomeriggio. Una settimana nel Karabakh.
L'ambientamento e' ancora in corso...piuttosto che agli usi o costumi locali, sento piu' la necessita' di mettermi in pari con me stesso, rincorrendo un modo di pensare, quello karabakhtzo, ancora fumoso e inafferrabile

L'allaciamento a internet dei point a Stepanakert e' per la maggior parte straordinariamente lento, e quando dotato di una velocita ragguardevole, sono i PC a manifestare piu' di un problema con la mia chiavetta USB. Ecco il motivo per il quale non mi riesce di buttare qualche immagine in pasto ai miei lettori.

Il viaggio per arrivare fino a qua e' stato micidiale: 7 ore da Yerevan a Stepanakert, in tutto circa 300 km, in Mashurtka, furgoncino tipo Ducato bianco, allestito a minibus da 15 posti autista compreso, il quale ha la peculiarita economico-soliodale di non partire sino a quando non e' pieno, ritardando sulla tabella di marcia anche ore se necessario. Stipatissimo di bagagli, rifornimenti, risorse alimentari di ogni tipo. Questo mezzo di trasporto locale possiede fra l'altro una forza accellerativa pari a zero, un forte attrito su terreno, e una velocita' di crocera che varia grandemente a seconda della geografia del percorso, con variazioni che vanno dai 100 kmh in discesa fino a scendere sotto i 15 kmh in salita...inutile dire che il territorio prevalentemente montuoso dell'armenia non ti permette completamente di fare salotto durante il viaggio...

La quantita' di paesaggi incontrati d'altro canto, ha supplito alla mancanza di comodita': se pur schiacciato sul fondo, pressato da altri tizi, damigiane d'acqua, un attrezzo da palestra e una bustona di verdure, gli scorci di armenia che via via di susseguivano, dall'arido-roccioso, passando per il semi-desertico sino al boschivo, hanno reso a mio giudizio un buon servizio, complementare del precedente, facendo valere in toto il prezzo della traversata.

venerdì 11 settembre 2009

Secondo tempo

Cinque giorni nel Karabakh sono di certo insufficienti per poterne parlare approfonditamente.
Difatti non ne parlero' affatto. Non intendo descrivere le sue forme. Io non so riconoscerle.
Tutto cio' che ho pensato di questa regione, e molto di quel che sta scritto sui libri, sono una pantomimica messa in scena della realta', nonche', credo, alcuni diversi ma astuti modi per parlare di qualcosa di cui non si vogliono far trasparire le profondita', le sfumature impossibili, gli spessori non euclidei. Una finta matematica narrativa, un assurdita non svelabile...
Ho avuto modo di confrontarmi con alcuni colleghi, dotati indubbiamente di strumenti infinitamente piu' precisi dei miei: ne ho provato disgusto e umiliazione, sentendomi ceco e muto, murato vivo in un'anfratto profondissimo dal quale non ho mai potuto vedere il mondo, pur gridandone aspramente le ingiustizie!(...senza volerlo ho parlato di platone...me ne accorgo ora che rileggo...ho fatto mia l'allegoria dello sciocco)
Mi sono affacciato nell'anticamera del volgo, nel modo il meno partecipativo possibile, e sono rimasto chiuso dentro.
Ho provato ha spiegarmi cosa cercavo una volta per tutte, sono rimasto zitto per quasi un'ora di fronte all'evidente incongruenza fra l'armenita' del Karabakh e le mie frottole.
Il colpo e' stato letale. Come avessi perso un arto.
Lo spaccato offertomi da questa societa' e dalle sue dinamiche (ma soprattutto da cio' che sarebbe bene studiare, approfondire, astrarre) non corrisponde affatto al modo in cui l'avevo pensata e attesa. Non solo la traccia che volevo seguire non esiste, ma anche l'illustrazione di partenza, la quale credevo fermamente fosse ben abbozzata, affidabile, o per cosi' dire, un'isola sicura dalla quale ripartire ad ogni occasione, ad ogni passo falso, e' fasulla e poco ci manca affinche nei prossima giorni venga risucchiato da queste maree e sprofondi nell'abisso dell' incomprensione, del monologo introspettivo ed intimista, per - in fine - sfociare nell'improduttiva e definitiva messa in discussione di me, e di me solo.
Pleonastico specificare che sono ben lungi dall'ipotesi di portare al cospetto della commissione una tesi di antropologia dell'antropologo, tanto meno quando l'antropologo sarei io...
Cio' che sta sul tavolo degli imputati a questo punto, e' il mio modo di guardare a mondo. Riparto da qui. Sara meraviglioso riscoprire certe cose...a non tutti capita...probabilmente sono fortunato. Credo fermamente difatti, che questo tepore diffuso su tutto il corpo sia indizio di una qualche crescita in qualche zona del mio corpo.
Non ho mai negato che questa fosse l'occasione per capire la mia affinita' con questa professione. Speravo a dire il vero non fosse solo questo...
Al momento sto ancora navigando testardamente contro corrente, ma manca davvero poco affinche riesca a girare la mia malmessa zattera in direzione della rotta privilegiata...in direzione di quell'orizzonte del quale ora scorgo sono un evanescente bagliore.
Se facessi lo sforzo di girare la testa leggerei a chiarissime lettere il suo messaggio. Che non sono affatto un antropologo, e nella mia testa non lo sono mai stato.
Se per caso volessi senza paura fissare il punto in cui sole e terra si toccano schiudendosi in una raggiera di sottili frecce luccicanti, leggerei tutto il mio futuro. Esso e' assai distante dall'antropologia, se l'antropologia e' cio' che credevo di poter dare a questa disciplina, o meglio, a quell'istituto di conoscenze.
Dovrei piangere perche' ho fallito.
Sorrido perche' ho una risposta.