domenica 11 settembre 2011

Postfazione ad un 32° giorno d'Agosto

"L'Inferno sono gli altri"
J.-P. Sartre

"L'Inferno è tutto inteso in questa parola: solitudine"
V. Hugo


Dovessi mai aver riposto la poca fiducia che merita l'umanità in poche persone, elevando scioccamente le aspettative nei loro confronti a tal punto da esserne dipendente, come un devoto profeta dell'idea eterna, romantica ed improbabile che la mia ombra coincida con alcuni nomi ed alcune biografie - come intessute alla mia stessa vita - e che la mia salute sia la loro, proprio perché la loro è la mia? Allora, non sarebbero solitudine, disinnamoramento e distacco le mie medicine? Non sarebbe forse lo squarciare decisivo (se pur esiziale) questo cordone ombelicale il mio modo di liberare queste persone dalla stretta delle mie ingombranti, ossessive, pretese attenzioni?

Dovessi esser affetto, invece, da un morbo invisibile che sporca d'oscuro ogni altro individuo, insozzando la figura del Fratello e tramutando la Sorella in una minaccia? Se questo morbo ricoprisse effettivamente di un viraggio bruno lo scenario ed i personaggi che lo animano, ingrigendo e svilendo l'Altrui condotta nella misura in cui l'ho amata? E se addirittura fossi io stesso ad attribuire la colpa per le mie ferite a tutto ciò che si muove al di fuori del perimetro del mio stesso agire, perché incapace di sopravvivere colpevole...? Allora, dico, non sarebbero solitudine e disinnamoramento la mia medicina, liberando dal peso di questo inutile inferno chi da lontano mi guarda incredulo?

Se ognuna delle mie recriminazioni fosse dovuta, infine, al fatto semplice e mostruoso che tutto l'amore del mondo non può farti star meglio quando non ti ami nemmeno un po', non sarebbero solitudine e disinnamoramento la mia medicina? Non si creerebbe una specie di compartimento placentato e stagno che mi consenta di fare i conti con me stesso?

E se invece fosse il mio modo d'amare a rendermi così claustrofobicamente piccolo. A farmi più anomalo che unico. Sicuramente incompatibile con forme molto più efficienti di sentimentalismo, poiché moderate e interpolate di strategica razionalità? Se fosse questo modo d'amare ad esigere le attenzioni che dovrebbero prestarsi ad un bambino, facendomi di fatto essere Il Bambino. Se fosse per questo che finisco per divorare immancabilmente in poche ore ciò che amo, estinguendo la foga di anni in pochi minuti?

Se fosse per effetto di questo stesso modo d'amare, poi, che esercito il ruolo di arbitro parziale e sleale, che alimenta rancore nella misura di quelle attenzione fraterne che non vedo realizzate? Un arbitro dall'infinito bisogno di carezze, sarei. Se fosse proprio quella parte mai spentasi del bambino che cerca conforto nello sguardo degli altri a dare origine a questo disappunto d'agosto? Non sarebbero solitudine e disinnamoramento la mia cura?

E se infine questo modo d'amare - il tendere a darsi a dismisura, l'esigere a dismisura - fosse una dimensione del rifiuto di crescere senza fidarsi appieno di chi comunque sia ami, il diniego del crescere soli contro tutti, e conseguenza di un non crescere affatto? Se fosse un modo tanto rischioso quanto puerile per rigettare quel principio che credevo di aver abbracciato pienamente: si nasce soli, si muore soli.

E se il mio modo d'amare fosse la resistenza psicosomatica, latente e sotterranea, che si è innescata l'attimo dopo aver fintamente accettato la solitudine di ogni individuo? Ancor più probabile, dunque, solitudine, distacco e disinnamoramento siano una cura ad hoc. Un ingrediente omeopatico atto ad allargare, se pur di poco, lo spettro della mia consapevolezza.

Ci voleva questo Agosto con una ventata di Morte, Amarezza e Verità per farmi ragionare di nuovo (a questo punto non ricordo nemmeno quanto tempo è passato dall'ultima volta che ho pensato). Venuto a portare un messaggio che prima o poi riserba a tutti: per quanto circondati da volti amabili o occhiate rancorose, non abbiamo né amici né nemici, solo attimi. L'Eternità finisce per fotterti...