martedì 27 ottobre 2009

Le vette di Gandzasar

Il Karabakh è un luogo montano, come detto. In alcune delle sue parti, gli spaccati più angusti e semi-incontaminati, compare un indubbio aspetto selvaggio. Ci sono così tanti rientranti e strettoie prima di raggiungere il luogo predestinato, che sei quasi obligato a goderti lo spettacolo e ad apprezzare il suo ordine naturale.
Sui versanti delle montagne che costeggi talvolta sbuca del rossastro tufo, o del basalto, più spesso viva roccia calcarea; in dirittura per il lago Sevan abbiamo potuto ammirare una colata di ossidiana che ricopriva tutto il lato della montagna.
Più spesso però, è la vegetazione boschiva a fornire una coperta scura alle montagne, che ospitano come di consueto villaggi più o meno grandi, assisi fra le sue coscie.

E' il caso questo, delle scenografie che hanno accmpagnato il nostro viaggio a Gandzasar.

Questo monastero è cinto da mura ancora intatte, ed è uno dei tre simboli del Karabakh cristiano, assieme ad Amaras e Dadivank.
La sua costruzione inizia nel 1216 per ordine del principe di Khachen, Hasan-Jalal Dawla, e si conclude nel 1238. Verra consacrata due anni dopo, per poi divenire culla culturale degli armeni del Karabakh, detenendo il ruolo di Catholicos di questa regione sino al XIX secolo.

Gli armenisti, e specialmente coloro che si occupano di critica dell'arte, sostengono che in
questo complesso monastico, ma soprattutto nella cattedrale di S. Giovanni il Battista, vi sia concentrato il succo dell'arte costruttiva armena: nell'uso della cupola ad ombrello incorporata entro la pianta a croce, con le due camere angolari;
negli stili preferenziali quali i colonnati e le rifiniture ornamentarie in basso rilievo;
nelle decorazioni concentrate sugli angoli sia interni che esterni, enfatizzati da vivaci rilievi.


Le pareti esterne sono finementi e meticolosamente intarsiate di passi biblici in lingua armena. Entro le mura, in tutta l'area che attornia la cattedrale, un paio di ulivi e un teppeto erboso da Olimpico - al nostro arrivo ancora bagnato dalla pioggia del primo mattino - concludono l'opera. Affacciandosi dalle mura verso la valle l'effetto è quello sopra descritto




venerdì 23 ottobre 2009

Tigranakert (da lontano)

Una marcia lenta quella che ci ha portato a Tigranakert. Avvicinarci a ciò che resta dell'antica fortezza fondata nel I secolo A.C. è stato purtroppo smorzato nelle aspettative da alcuni inconvenienti che hanno disatteso la breve permanenza presso il luogo che la ospita. In antichità questa era una delle tante capitali omonime dell'Armenia Imperiale di Tigran III il Grande, di certo la più famosa, oltre che la più orientale di quell'Armenia che si estendeva dal Caspio al Mar Nero, e giù sino in Anatolia e alla Cilicia. Come detto venivamo da una deludente marcia in riepiegata da Aghdam, con l'autista impaurito e scosso. Talmente scombussolato dal tentativo di entrarvi, ad Aghdam, che alla fine non ci ha riservato affatto un trattamento discreto, non permettendoci neppure di avvicinarci alle rovine quel tanto che basta per poterle quanto meno distinguere dal tappeto terroso che le custodisce, potendo anzi ammirare solo da lontano la chiesa postuma costruitavi sopra. Con un tempo che purtroppo non favoriva alcun genere di panoramica della collina, ha pensato bene di alludere al pericolo proveniente dalle mine inesplose, laddove quotidianamente (solo dopo l'ho scoperto) archeologi di ogni sorta si avventurano alla ricerca di qualche nuovo rudere. Una volta saliti su per una straducola sassosa che costeggiava il sito archeologico, il risulato non proprio da belvedere è questo qua sopra. Il clima transilvano ha contribuito a suo modo a rendere spettrale al punto giusto sia la scampagnata che tutto il contesto, mentre la finissima e pizzicante pioggia ha abbreviato la nostra permanenza oramai proiettati verso una calda doccia...

giovedì 22 ottobre 2009

La mafia del cuore

Murato nella mia stanzetta a Yerevan. Silenzio che rimbomba, direi. Una trave di piombo depositata nello stomaco. Crampi dovuti ai ritmi alimentari non proprio eccelsi. Idee che vanno e vengono, mi sfiorano e poi si bruciano. Nuoto nell'insopprimibile assenza di fosforo. E provo vagamente a concentrarmi su questi karabakhti, sul loro esser così maledettamente vagi. Come me. Il pomeriggio è passato nel tentativo di farmi spazio fra le vittime dei miei pensieri. Ricavarmi uno spazio per poter dare ossigeno al cervello senza ingombri e pulviscoli.
Così stordito da un'apparire colpevole - ai miei occhi viziati dal gusto della sicurezza, e a causa di un non-esser-colpevole di nessuno. Non c'è male maggiore dell'assenza di male. Una pulizia della coscienza che induce al sospiro del finale senza macchia, del tutto è andato come doveva andare, abbiamo provato, abbiamo capito, siamo entrambi salvi, affamati ma salvi. Salvi da cosa? Dall'esserci fatti del male, spero...
In un sereno coinvolgersi di sensi e parti svariate del proprio corpo, in un giaciglio odoroso e sudaticcio, appena dopo un candido, feroce litigio, sarei ancora come una scheggia profondamente conficcata nell'esistenza di qualcuno, qualcuno... ma da qua è difficile, anche per me.
Che lo voglia o no, la mia istintuale vocazione antropologica mi tiene lontano da altre, altrettanto sgargianti varietà di vissuto. La mia pessima condotta pratica fa il resto, o almeno, lo ha fatto sino ad ora: non sentendomi però così male da divenire oggi tanto masochista da accettare il cordoglio come parte integrante della vita, facendosene una curiosa e stupita ragione. Questo equivarrebbe a scoprire a metà della nostra vita attiva (che equivale all'incirca alla mia età), che il cielo è azzurro e che il fuoco ustiona.
La costanza cementizia che ci contraddistingue caratterizza anche il nostro modo di finirci. Senza che nessuno di noi cambi di un non nulla.
Fummo immutabili, ma non passivi. Fui freddo, ma non vuoto. Freddo di un inverno di montagna, con il sole che ti scotta se non stai particolarmente attento o ti proteggi con le dovute lozioni...C'è stata troppa ombra nel mio inverno, questo lo so.
Scontrarci è stato comunque provvidenziale, perderci...vedremo cosa sarà.
C'è un senso dietro quello che penso, e che scrivo. Al di sotto di tutta questo magmatico provarci e riprovarci, si trova un circostanziale sedimento di verità. Voglio utilizzarlo, per stuzzicare la mia voglia di avere una risposta a tutto.
Questa verità approssimativa, abbozzata e parziale, è che non si può e non si deve scegliere cosa fare e come farlo, quando si è innamorati. C'è una parte del nostro celebro, quella che chiamiamo "cuore", che non ci da ascolto, ed innegabilmente una volta ogni tanto ci chiede il suo pizzo, ci fa insomma le sue richieste. Indeclinabili. Viene tutto da se ovviamente, diramandosi vibrante come scossa, dal petto in tutte le direzioni: e noi obbediamo a questo comando che diviene ciò che ci va o non ci va di fare, perchè l'obbedienza è l'unico modo di risponder presente al suo appello di esigenze. E' di fatto talvolta difficile incastrare pienamente tali modelli di volontà presunte, di diritti, di voglie, e smussare le pareti stoppose del nostro ego per adattarci e modellarci all'altro, di qualsiasi altro si tratti.
Meccanismo semplice, che induce a scontri innoqui - amorali forse - anche quando coinvolge enormi sentimenti, o addirittura intere parti di vita. Scontri dai quali usciamo o tutti vincitori o tutti sconfitti.
Battaglie umane, dettate da questo cuore.

martedì 20 ottobre 2009

Aghdam

Ci abbiamo provato per due volte a entrarvi, io, Michele ed Emanuela...Sulla città di Aghdam vige il monito del silenzio da parte degli apparati, e l'ordine di non condurvi turisti sprovvisti del permesso del Ministero della Difesa, delle sue guide, del suo controllo. Quanto sia difficile anche solo entrarvi nel suddetto Ministero lo ho testato negli ultimi giorni.
Qualcuno palesava la possibilità che vi fossero taxisti particolarmente lungimiranti e circospetti - basterebbe dire emancipati, ma non utilizzeremo in questa sede terminologie sesantottine - disposti a portarti dietro cospicuo ridargimento. Al primo tentativo ci e' andata male.
Il nostro accompagnatore, prima spavaldamente entusiasta sulla proposta di andare a dare un'occhiata da quelle parti, si fa cogliere da un attacco di panico durante l'ultima fase del tragitto, ci chiede di controllare il documento rilasciato in allegato al Visto con i dettagli della nostra visita, e all'ingresso della città svolta a sinistra, tacendo. Salta tutto.
Prima di partire, qualche malsana chiacchierata con locali particolarmente rispettosi della già citata normativa disposta al concludersi della guerra, e qualche non escludibile minaccia camuffata da amichevole avvertimento, hanno giocato a nostro sfavore sulla psicologia del pilota, il quale oltretutto, costeggiando in lontananza i villaggi parzialmente distrutti che circondano la città, ci ha imposto di non fare foto (un'altro dei dettami ministeriali, particolare di cui eravamo a conoscenza grazie alla Lonely Planet).
Insomma, era impaurito. E imbastardito. Abbiamo ripiegato sulla fortezza di Tigranakert, poco distante, sotto la pioggia e con una nebbia che anche se avessimo voluto, non ci avrebbe permesso di portarci a casa un buon ricordo fotografico (ma un'ottimo audio-visivo).

Purtroppo per questo autista (e per l'ordine dei taxisti in generale), per il Governo, per il Ministero della Difesa ed infine per il ligio Popolo della Repubblica del Nagorno-Karabakh, tutto questo proibizionismo - se pur assolutamente giustificato - ci ha fatto venire una altrettanto giustificata "quolina in bocca", a tal punto da abbandonare l'ipotesi Dadivank (monastero del V secolo D.C. arroccato a nord della regione) e riprovarci il giorno dopo, questa volta con la compagnia di A., del quale non si vuole menzionare altro se non il fatto che rimarra nella mia memoria, e nel mio cuore, anche solo per il miscuglio di buon umore e smaliziato anticonformismo che fruttano spesse volte tutta la mia simpatia a chi le possiede. Dopo un'oretta di macchina tiriamo dritto laddove il giorno prima avevamo svoltato, e senza indugio entriamo nella città proibita. Queste sono le immagini di un'altro posto semi-dimenticato, che possiede ciò nonostante la dignita' per sussurrare la sua storia...
Aghdam è un ex-centro mercantilizio e metropolotino, che contava alla fine degli anni '80 cento mila persone, in nettissima prevalenza Azera. Divenne luogo di scontro nel 1993, quando il conflitto armato Armeno-Azero, nella sua fase terminale, fini per convergere dalle regioni centrali del Karabakh dove si era dapprima sviluppato, verso l'esterno, in quello che fu il contrattacco Armeno e la conseguente espansione dell'esercito che occupò questo luogo e l'intera porzione del territorio azero circostante, una delle così dette "7 regioni". Cosi sono chiamate le fette di terra esterne al perimetro giuridico-territoriale della Regione Sovietica Autonoma del Nagorno-Karabakh, motivo di discussione e nodo centrale dlle trattative tutt'ora in corso. Sulla presa della citta' - per alcuni rapida e indolore, per altri lunga e sofferta - si sa che avvenne lottando tra Aghdam, bastione Azero, e Askeran, fortezza Armena espugnata e resa luogo per la preparazione degli attacchi. Dicono sia stata un'impresa, e che tutti i gruppi speciali furono chiamati all'opera durente l'ultimo assedio.
Il risultato di questo sull'architettura e l'urbanistica locale e' quello conseguente al bombardamento dei giorni che precedettero la presa definitiva di Aghdam; semplice, prosaico, laconico: non un tetto salvo, non una strada integra, scenario patinato del grigio manto pietroso delle macerie.
Dopo il cessate il fuoco firmato nel 1994, è stata ulteriormente sventrata e saccheggiata dei materiali utili alla ricostruzione delle altre citta' centrali: metalli, pietra lavorata, tubature, impianti eltettrici e così via...Finendo la sua miserabile storia divenedo "cerottiera" per le ferite citta' nemiche.
Oggi Aghdam e' scoperchiata dell'anima che un tempo deve avere percorso i suoi vicoli. Immaginare come doveva essere da viva è tuttavia impossibile, per me. A Stepanakert ho avuto il piacere di incontrare una Signora che vi andava spesso per fare le "grandi spese", "c'erano grandi negozi e magazzini" dice...
Un migliaio di contadini la abitano ora, e se gli passi troppo vicino ti guardano in cagnesco, con occhi ed espressioni torve ed impenetrabili...
Essendo tuttora zona di confine e per questo assai sensibile - per di più oggetto centrale delle discussioni interne agli inconcludenti negoziati per un eventuale "restituzione" o "cessione" all'Azerbaijan - non è stata di fatto restaurata, nè sminata. Non se ne sente particolarmente il bisogno. Ragion per cui in così pochi la frequentano...

sabato 17 ottobre 2009

Guardando all'Italia da lontano (parte prima)

Eccola l'ennesima pagliacciata mediatica. Il dissidente comunista, sovversivo antagonista, rosso pericolo senza-volto, torna a minacciare seriamente le Autorita' promettendo "sentenze" barbine e lotte armate decisamente retro', coinvolgendo la folla idiotizzata nel panico degli anni di piombo...

In contemporanea ai pedinamenti audiovisivi di uno tra i tanti nemici dell'eletto dal popolo, dei collusi, dei malfattori a colpi di legalita'. Tentativo tanto infantile quanto ebete di svergognare la "comune quotidinita' " di un civile in borghese al di fuori dell'orario lavorativo (infangando di fatto le comuni abitudini di noi titti. le mie. le vostre), durante lo svolgersi del quale Lavoro, quello del Giudice, avrebbe purtroppo intralciato il cammino irto di insidie giuridiche del nostro svergognato, inappagabile, onnivoro Cavaliere del reato...

La societa' liberal-democratica, nel suo modello italico, si sta cimentando, esercitando e specializzando da tempo nel gioco senza fine dei nemici immaginati, disegnati, autoprodotti, quali agirebbero legalmente sull'incarnazione dell'esecutivo meno esecutivo di sempre.

Ci si vuole muovere d'astuzia gridanto "al ladro" per distrarre e rubare a propria volta e di soppiatto il consenso, la parola, l'opinione. E' terribilmente facile agire sulla psicologia della massa quando si fa appello al nemico invisibile, quindi infinito e spaventoso perche' non-debellabile...Si vorrebbe generare lo scompiglio per violentare - nel qual caso - la Costituzione fra le urla di stupore e biasimo degli astanti impegnati a controllare un pericolo pubblico che non esiste, o fare luce su una situazione dipinta appositamente in un chiaro-scuro indiscernibile.

E' in atto da 15 anni un processo sofisticatissimo di "zombizzazione" (fatto prevalentemente di bombardamenti trasversali di mezze notizie, falsificazioni parziali che incollano alla realta' piuttosto che svanire nell'astratta menzogna) di una nazione che non sembra piu' saper reagire alla criminilazzazione dell'etere, del nulla, del vuoto. L'effetto venturo - e assolutamente auspicato da chi dirige tutto il marchingegno - sara' quello di sentirci un po' tutti colpevoli, e infondo, un po' tutti buoni e giusti. E' contro questa conseguenza psicologica che dovremmo lottare. E' questa lebbra infetta e tale morboso indebolimento che dobbiamo allontanare e sterilizzare con il fuoco.

Nella gara che ci si impone di vincere, quella che coivolge la vita politico-istituzionale dell'intero agonizzante sistema italiano, le regole diventano l'eccezione, la deroga, la preclusione, la censura, l'arbitrio ed infine la forza, insita in nuovi strumenti quali ad esempio gli apparati rivolti allo sputtanamento, e cosi via...

Noi siamo sullo stesso campo. Ci fanno credere di essere spettatori quando siamo partecipanti diretti. E ci stanno truccando la partita...

martedì 13 ottobre 2009

Ultimi giorni nel Karabakh

E' da troppo che non aggiorno questo blog, purtroppo o pefortuna... Nelle ultime settimane ho attraversato un po' delle lande nord-orientali di questa regione, in compagnia di due amici italiani e di una buona dose di "pazienza, insistenza e speranza". Chi ha potuto visitare con me le rovine di Tigranakert e la citta di Aghdam, sa cosa significano queste tre parole. Ho in mente di parlarne in seguito...

Vorrei invece concentrarmi su un'altro aspetto che in questi giorni, e improvvisamente, si e' venuto a manifestare in questa terra di nessuno. Il soprabito sempre austero dell'uniorne sovietica...

Durante l'ultimo periodo ho cercato di frequentare istituzioni deputate all'istruzione e all'educazione delle masse quali le scuole statali (No 7 e 8), l'Universita' Mashotz e l'Univesita Statale di Stepanakert. Con piacevole eccezione della prima universita', in cui mi si e' consentito di entrare e frequentare gli studenti (se pur taciturni, guardingi e remissivi) e della scuola numero 8, all'interno della quale son penetrato grazie all'aiuto di una amica del ministero dell'educazione in loco, il resto e' stato un disastro. Laddove ho potuto sondare il terreno dialettico riguardante e lro condizioni materiali tramite quegli argomenti-sonda utili a farlo, ho potuto percepire, sinteticamente, che vi sono tre rilievi utili:

-nella misura in cui sanno non gli e' lecito parlare (censura);

-dove non sanno, non possono essere investiti del ruolo di interlocutori, e non sono infine nelle condizioni di sapere che cosa pensare (vuoto di informazioni);

-il discorso maggiormente in voga e' quello che si attiene uniformemente alla pratica politica della propaganda.

Detto in parole semplici, non mie ma di un amico franco-armeno trasferitosi qua 2 anni fa: "non gli si da la possibilita di pensare, di farsi un idea", che non sia omogenea al sistema di pensiero costruito e regnante, ufficialmente promosso dagli apparati, il discostarsi dal quale significa apertamente "offendere l'unita nazionale". Un aneddoto raccontatomi da questo ragazzo potrebbe essere ulteriormente delucidatorio. Nelle campagne e villaggi presenti nelle regioni periferiche della regione, le piu' povere, si trovano migliaia di ettari di terreno coltivabile completamente spogli, infrastrutture per l'irrigazione bloccate da decenni, ed un arretrato sistema di sfruttamento agricolo. Chiedendo delle spiegazioni a riguardo - e nel tentativo di ottimizzarne l'agricoltura in favole dei locali - ha potuto constatare come non vi sia innazitutto un idea della responsabilita' (ne tanto meno dello spreco legato all'inutilizzo di queste terre). Conseguenza diretta di questo fatto, a suo dire - nessuna presenza di un concetto di miglioramento nella gestione diretta della fattoria e delle condizioni di sussistenza da essa derivanti. Le cose stanno cosi', congelate. Il cambiamento e' del tutto assente nell'uso collettivo dell'affare professionale (pur potendo legalmente agire in questo senso). Credo, sia in attivo che in passivo: ovvero, non puoi decurtarli di un milligrammo di terra nella misura in cui un aggiunta della medesima non e' assolutamente contemplabile. Ovviamente, ammesso che non sia il governo a farlo. 

Tornando al discorso centrale, le strutture educative - l'universita' statale e la scuola numero 8 - si sono dimostrate nei miei riguardi assai spontanee, genuine, come dire....

Mi hanno sbattuto fuori dall'universita' prima con un echeggiante "NO" del rettore di fronte al permesso del ministero, il quale fra l'altro si incazza come un fabbro e comincia a blaterare strafalcioni contro il mio NON PARLARE RUSSO, con una povera inconsapevole segretaria semi in lacrime che sotto voce provava a sillabare qualcosa tipo "scusa", "non e' arrabbiato con te", "torna domani". Il giorno successivo mi ci reco ben piu' agguerrito, voglioso di spiegazioni esaustive, pronto a far valere le mie carte, lettere di presentazioni, nomi e cognomi di chi mi aveva dato carta bianca per lavorare in quel campo, insomma fiduciari. Anche disponibile a raccontare qualche pagliacciata sul "lei non sa chi sono io"(come suggeriva qualcuno). Non ho neppure finito di motivare il mio ritorno in quell'edificio, vengo accompagnato per il gomito alla porta, con sonoro sbattere di porta. L'ultima provocatoria affermazione che hanno potuto ascoltare le mie orecchie e' stata quella di una Prof. che ha gridato mentre mi allotanavo: "I'm considering this task risolved". Vaffanculo...

Naturalmente la notizia che il rettore aveva bruciato in persona la mia proposta si e' sparsa per l'edificio in men che non si dica, su per giu' in 24 ore, e ora sono divenuto il lebbroso. L'innavicinabile da ogni studente (nonche' forse il pericolo pubblico numero uno)...ciao universita'...

La direttrice della scuola numero 7 invece e' stata molto piu' macchiavellica, complice il mio interprete, il quale e' molto piu' interno a questo gioco di quanto potessi aspettarmi. Sono un ingenuo, naturalmente... Prima ha chiesto che mi allontanassi dal personale (e dalla scuola al contempo) dato che dal ministero aveva ricevuto ordine di non divulgare notizie. Cio' e' a mio avviso comprensibile. Cio' detto, poche ore dopo, con il beneplacito del Ministero dell Educazione ed il numero personale del cellulare del Ministro, il quale si era messo a disposizione per una eventuale chiamata risolutoria nel giro di poche ore ed in caso di necessita', mi fa presente che lei non mi conosce, che dovrei essere accompagnato da un responsabile del ministero per tutta la durata dell'intervista, e di fronte a cio', l'interprete si dimentica (...) di dargli il numero del ministro per avere la strada libera, dicendomi (dopo un quarto d'ora di conversazione tra loro due, e sorrisi che si sprecano, in una lingua ahime' incomprensibile) "non puoi fare niente, mi dispiace". E io: "ma gli hai dato il numero?". "Mi dispiace, ma non puoi fare niente, e' molto dipiaciuta. Lei e' molto brava, io la conosco, conosce tutta la mia famiglia, e' sincera..." e bla bla bla.

Viva lo stato di potere autoritario. Viva le menti indebolite da legacci dogmatico-burocratici. Evviva il buio del libero pensare, sul quale vigila l'alta torre dell'apparato politico-militare. Il karabakh e' un giardino democratico per visitatori inconsapevoli costituito a scopi turistici! Per chi ci vive, e' un continuo pensare alla fantasiosa fuga, o un continuo "non pensare", dipende da quanto sei fortunato...

Ora forse ho la spiegazione del perche' le conversazioni-intervista con adolescenti finiscono sempre per fallire in un "parlami dell'Europa"...

L'italia sta andando proprio in questa direzione. Ma su questo scrivero' magari quando torno, comparativamente...