mercoledì 8 febbraio 2012

CRONACHE DAL BASSO

Detesto tutto ciò che è diverso da me. Per questo cerco di conoscere, frequentare, persino ammirare le forme ed espressioni altrui. In realtà il mio è un tentativo disumano di farmelo piacere, di andarci d’accordo forzando una proiezione verso l’esterno così da ammutolire il disprezzo per gli altri che inquina la mia vita.

Non credo di aver mai incontrato nessuno che non abbia almeno per un attimo disprezzato. Con chiunque, dopo tutto, sento di poter avere qualcosa del mio peggio da condividere. Avere continuamente un congegno a portata di mano per misurare la distanza tra me e gli altri. Questo sono “gli altri”, per me. E così dovrebbe essere per tutti.

Qua sotto, da dove vedo le parti più intime e scandalose della vostra condotta, il mondo appare esser il mio psichiatra, enciclopedia in cui ritrovo la spiegazione dei limiti, paure, fobie, ribrezzi che per larga parte mi contraddistinguono. La sopra trovo la prova ultima dell’infondatezza della mia stessa libertà.

Nutro sentimenti contrastanti nei confronti della libertà. Molti son talmente liberi da disgustarmi. Io non amo ciò che svolazza perché da quaggiù non riesco mai ad afferrarlo, e dopo tutto nemmeno a comprenderlo (ammesso che ci sia qualcosa da capire in coloro che vagano senza meta, o cambiano destinazione ad ogni svolta).

A dire il vero, la libertà – l’essere liberi in quanto miscuglio di indipendenza, autoreferenzialità e spiritualità – è una forma di vigliaccheria socialmente accettata, prodotta a dismisura poiché incentivata ed innalzata al rango di valore.

Qualsiasi genere di emancipazione – femminile, razziale, politica, democratica, sessuale – finisce per ingannare ed accecare. Da un lato perché spesso “libertà” è una parola vuota; dall’altro perché l’unica libertà realizzabile è quella di scegliere di non essere liberi. Non essere liberi, o non essere niente. La sola manifestazione di coraggio che spetta agli uomini è quella di limitare la propria libertà. O almeno, da quaggiù sembra così.

La democrazia è stata battezzata annullando ancor più le singole libere volontà ed affidando le redini politiche di una collettività ad una super-minoranza: essa si pone alla guida della mega-maggioranza auto-privata di un certo grado di potere riconoscendo legittimo una data rappresentanza, costituita di un numero relativamente basso di esemplari umani (in realtà una rappresentazione fallace).

L’emancipazione delle donne, dei gay, delle minoranze etniche, quando radicale ovvero fedele all’ideale della pura libertà, pare proprio infognarsi in un anti-mondo con sue regole, stili di vita, habitus, e maniere sociali. Dinamica che finisce inesorabilmente per alimentare l’auto-ghettizzazione della psiche: paradisi artificiali, Indie della mente o patrie immaginarie per soggettività deterritorializzate, avrebbe detto Salman Rusdhie.

Se libertà significa isolamento mentale, spirituale, e materiale, beh, ben venga la libertà. E che essa stia però ben lungi dal sottoscritto.

Se libertà significa annullamento parziale della propria decisionalità, come sopra suggerito, prendiamone atto partendo dal celebrare il funerale di questa idea di libertà.