martedì 4 agosto 2009

Duracel in un mondo post-moderno (2)


Manciate di case irregolari sparse come semina; frontoni collinari che sbucano taglienti da sotto l'orizzonte e rendono lo scenario come di cartapesta; una pianta circolare, incavata come la bocca di un cratere, una città tappezzata di cemento - che costruisce sul cemento senza raccoglierne mai le mecerie.

In questo pregno spigolo di mondo, almeno due dimensioni si incrociano, e sono quelle che l'etnocentrica, orgogliosa pratica del giusizio, vivente nell'omogeneo e mai nel difforme, può dare: fiera di sprezzante, incontrollabile superbia. L'atto di accorgersi di questo sempre imparziale ritratto retorico - di per se sufficente ad imboccare il sentiero dell'auto-coscienza critica - se non mi tratterrà dal sentirlo, può quanto meno evitarmi di doverlo professare come scienza estetica.

Ai miei occhi dunque, il presente a Yerevan è promiscuo, traditore, ingannevole.
C'è un presente distante, l'ho scorto. Come fosse storia, antico, rudereccio, leggendario, incomprensibilmente splendente; se ne sta la, una volta dietro un ricurvo edificio, un'altra appolaiato sul dorso di una montagna, talvolta persino in fondo alla strada, ma sempre alla stessa distantza, e più cammini più lui è altrove, nel raggio di alcune centinaia di metri, tutto attorno in modo diseguale, ma sempre alla stessa diastanza.

Poi c'è un presente che riconsco, come riconoscerei varicella e pustole da batterio. Indicatori visibile di contaminazione che evocano una sola immediata certezza: quella del segno. C'è qualcosa di noi qua, o meglio, anche del nostro mondo, o quantomeno maledettamente comune al nostro: mi rifersico in particolar modo all'uso del costume pubblicitario-carismatico. L'uso che ne viene fatto, mi incolla i piedi al suolo in modo brutale...

Da un lato ne vien fuori un effetto parodiale, carnevalesco, con la messa in scacco dell'ideologia-globalizzazione nell'uso pagliaccesco dell'oggetto-messaggio capillarmente diffuso, presenza possibile di almeno un margine tra l'indossato e l'indossatore, tra contenuto e contenitore(1), invocante come uno stato di disagio. Dall'altro, l'uso che ne viene fatto è però religioso - nelle forme, nella maniera cosi come nella frequenza (scandita millimetricamente in un tempo che non scorre) sino al trapelante significato che tale impiego deve avere in questo contesto: visibilità, che chiama uguaglianza, che genera inoppugnabile conformismo.

E magari il tutto credendosi culturalmente liberi, mentre si sta solo imitando, con i costumi di scena portati li dalla nuova via della seta.

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(1) Si vuole richiamare la figura del Leonardi F. per il prestito di questo duo concettuale...

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