domenica 9 agosto 2009

Verso il lago Sevan


Ieri Lago Sevan.

Un'ora di macchina in mezzo alla montuosa ed ispida campagna armena. Canion, tornanti, radure. Su una strada vecchia quanto l'unione sovietica, ma molto, molto messa meglio.
Talvolta, nei punti lievemente scoscesi, rimaneva dritta davanti a noi, come a tagliare in due l'orizzonte.
L'armenia rurale è la vera armenia, immagino.
Quella decimata, storicamente, dagli sviluppi post-guerra fredda piuttosto che dall'assenza di sviluppo in sé.
Qualche scheletrica cittadina che sbuca ogni tanto - paesaggio in cui spruzzi di casette quadrangolari trasudanti grigiore sparse in qua e in la per le colline, immancabili e monotone palazzine di memoria architettonica pan-sovietica, che talvolta ne segnalano i lineamenti principali, contrastano meravigliosamente con il tessuto patinato ed armoinioso che le attornia, fatto di roccia, sterrati, ma soprattutto appezzamenti coltivati, che si susseguono miscellanei in decine e decine di tonalita del verde, dell'ocra e del marrone - terrastro, senese, sabbioso...
E che sopra ogni cosa segnalano - al contempo - la presenza di vita e di resistenza.

Delizioso e melanconico.
Genuino...
Probabilmente sono in fallo, ma l'Armenia, e forse il Caucaso tutto, appariono come lo specchio critico di un popolo disastrato dalla geografia. Dall'avere cioè un ruolo di cosi vitale importanza - separando l'eurasia dal medioriente, da doverne subire la realpolitik di entrambi. Stato permanente, questo, che li ha schiacciati su un lembo di terra franca nella quale sembra tutto permesso, e nulla possibile...


1 commento: