venerdì 11 settembre 2009

Secondo tempo

Cinque giorni nel Karabakh sono di certo insufficienti per poterne parlare approfonditamente.
Difatti non ne parlero' affatto. Non intendo descrivere le sue forme. Io non so riconoscerle.
Tutto cio' che ho pensato di questa regione, e molto di quel che sta scritto sui libri, sono una pantomimica messa in scena della realta', nonche', credo, alcuni diversi ma astuti modi per parlare di qualcosa di cui non si vogliono far trasparire le profondita', le sfumature impossibili, gli spessori non euclidei. Una finta matematica narrativa, un assurdita non svelabile...
Ho avuto modo di confrontarmi con alcuni colleghi, dotati indubbiamente di strumenti infinitamente piu' precisi dei miei: ne ho provato disgusto e umiliazione, sentendomi ceco e muto, murato vivo in un'anfratto profondissimo dal quale non ho mai potuto vedere il mondo, pur gridandone aspramente le ingiustizie!(...senza volerlo ho parlato di platone...me ne accorgo ora che rileggo...ho fatto mia l'allegoria dello sciocco)
Mi sono affacciato nell'anticamera del volgo, nel modo il meno partecipativo possibile, e sono rimasto chiuso dentro.
Ho provato ha spiegarmi cosa cercavo una volta per tutte, sono rimasto zitto per quasi un'ora di fronte all'evidente incongruenza fra l'armenita' del Karabakh e le mie frottole.
Il colpo e' stato letale. Come avessi perso un arto.
Lo spaccato offertomi da questa societa' e dalle sue dinamiche (ma soprattutto da cio' che sarebbe bene studiare, approfondire, astrarre) non corrisponde affatto al modo in cui l'avevo pensata e attesa. Non solo la traccia che volevo seguire non esiste, ma anche l'illustrazione di partenza, la quale credevo fermamente fosse ben abbozzata, affidabile, o per cosi' dire, un'isola sicura dalla quale ripartire ad ogni occasione, ad ogni passo falso, e' fasulla e poco ci manca affinche nei prossima giorni venga risucchiato da queste maree e sprofondi nell'abisso dell' incomprensione, del monologo introspettivo ed intimista, per - in fine - sfociare nell'improduttiva e definitiva messa in discussione di me, e di me solo.
Pleonastico specificare che sono ben lungi dall'ipotesi di portare al cospetto della commissione una tesi di antropologia dell'antropologo, tanto meno quando l'antropologo sarei io...
Cio' che sta sul tavolo degli imputati a questo punto, e' il mio modo di guardare a mondo. Riparto da qui. Sara meraviglioso riscoprire certe cose...a non tutti capita...probabilmente sono fortunato. Credo fermamente difatti, che questo tepore diffuso su tutto il corpo sia indizio di una qualche crescita in qualche zona del mio corpo.
Non ho mai negato che questa fosse l'occasione per capire la mia affinita' con questa professione. Speravo a dire il vero non fosse solo questo...
Al momento sto ancora navigando testardamente contro corrente, ma manca davvero poco affinche riesca a girare la mia malmessa zattera in direzione della rotta privilegiata...in direzione di quell'orizzonte del quale ora scorgo sono un evanescente bagliore.
Se facessi lo sforzo di girare la testa leggerei a chiarissime lettere il suo messaggio. Che non sono affatto un antropologo, e nella mia testa non lo sono mai stato.
Se per caso volessi senza paura fissare il punto in cui sole e terra si toccano schiudendosi in una raggiera di sottili frecce luccicanti, leggerei tutto il mio futuro. Esso e' assai distante dall'antropologia, se l'antropologia e' cio' che credevo di poter dare a questa disciplina, o meglio, a quell'istituto di conoscenze.
Dovrei piangere perche' ho fallito.
Sorrido perche' ho una risposta.


3 commenti:

  1. sei un antropologo.
    e non puoi avere sempre tutti questi dubbi.

    e scusa la franchezza.

    forza!

    a.

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  2. Anche io concordo, sei a tutti gli effetti un antropologo visto che nessuno nasce con la conoscenza infusa

    EtnoSfera

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  3. Non abbastanza...

    Enosfera e' entrata ufficialmente tra i miei Usefull Links,

    Fai buon lavoro Nico,
    alla prossima

    Luca

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