giovedì 3 dicembre 2009

Geghard

Un foro di panismo religioso, un sodalizio armonioso che accoppia materialmente ambiente e struttura architettonica, luogo di culto isolato ed attorniato da guglie rocciose, in cui l'antico cristianesimo armeno si fonde con la roccia, con il paesaggio, facendo dell'uomo e del suo Dio un tutt'uno con la natura.
Ignoro quali circostanze artistiche e/o strumentali indussero i monaci ha costruire nel XIII secolo una parte del monastero di Geghard direttamente dentro la montagna. Si sa per certo che il complesso cenobitico, con le celle monastiche ricavate scavando cunicoli nella roccia, risale al IV secolo. La chiesa, parte più giovane di tutta la struttura, riassume esemplarmente l'operato classico dell'architettura armena medievale. Ad essa si accede dal lato sinistro, dove la sua pianta muraria si conficca nella montagna, trovandovi forse un appoggio strutturale, e di li si entra nelle sue segrete, stanze fredde e buie, dove a segnare la strada ci son solo le centinaia di candele giallastre accese di fedeli.
Si narra che l'antico complesso fu fondato personalmente da San Gregorio l'Illuminatore, nel luogo in cui sgorgava una sorgente sacra: questa fonte è ancora viva, e ha scavato un sottile canale naturale che trapassa da angolo ad angolo la cripta principale. Oggi non manca chi vi lancia una moneta, chi si immerge parzialmente nella pozza principale, chi ne approfitta per portarne a casa un campione. Il sacro e il pop-folk si compenetrano in ogni luogo del mondo.
Il monastero divenne inoltre celeberrimo in quanto custodiva la presunta "punta" della lancia che trafisse il costato di Cristo, portata sino in Caucaso dall'apostolo Taddeo, oggi custodita al Katolikhos di Echmiadzin. Il nome di questo complesso monastico difatti significa in armeno "Monastero della Lancia".
Le cripte, piuttosto numerose, si allacciano le une alle altre attraverso cunicoli e gallerie che - per intenderci - non permettono ad una macchina fotografica piuttosto scarsa come la mia, di fare memoria.
Le pareti interne di viva roccia, sono lavorate e incise con tutta la simbolgia di rito, con quei motivi che spesso ho ritrovato presso le strutture cerimoniali incontrate lungo il mio cammino, sia in Armenia che nel Karabakh. I solchi che tracciano acquisiscono un riflesso gessato al flesh delle macchine, frutto del calcare che si è via via annidato e sedimentato, risultato della forte umidità.

2 commenti:

  1. Ciao Luca. Come va?

    Le foto sono bellissime

    Si sa quando torni?

    A presto

    Denny

    RispondiElimina
  2. Caro Denny,
    tutto bene, sto semplicemente attendendo che mi ratifichino la data del seminario conclusivo ed ho finito.
    Tornerò la prossima settimana di certo, dato che mi scade in via dfinitiva il visto.

    Take Care
    L

    A presto

    RispondiElimina